Napoli cinema

Il grande cinema a Napoli: “Giallo napoletano”

Il grande cinema a Napoli: “Giallo napoletano”
Collegamenti sponsorizzati
A volte il cinema può invertire la connotazione di una città. E’ il caso di “Giallo napoletano” con Napoli. Il capolavoro di Sergio Corbucci, che vanta nel cast Marcello Mastroianni e Ornella Muti, parte dagli stereotipi partenopei del mandolino e della musica melodica per sporcarli di sangue e di violenza. Questo gioiello di thriller scrittura la città del sole e la trucca da città della luna.
Citare Hitchcock e nella stessa opera citare Totò. Possibile? Lo è per il regista Sergio Corbucci che porta il suo cinema veloce e spigoloso a Napoli stravolgendo tutti i luoghi comuni della città e ricomunicandoli in un nuovo linguaggio. La storia è rafforzata da un cast con Marcello Mastroianni, Ornella Muti e un Renato Pozzetto ancora alle prima armi. Il giallo è un intreccio che conosce bene le lezioni di grandi thriller esteri ma che le fa sue con un linguaggio tutto nostro.
Rafele Capece (un insolito Marcello Mastroianni) è un professore di mandolino classico che si è ridotto a fare il suonatore ambulante. Il protagonista è afflitto da due problemi irrisolvibili: una gamba che lo fa zoppicare, per colpa della poliomielite contratta da piccolo, e un padre, incallito giocatore, che sperpera al lotto e alla roulette tutti i guadagni del figlio. Per saldare l’ennesimo debito del papà è chiamato a fare una serenata sotto un balcone. Da qui in avanti Raffaele viene coinvolto in una scia di delitti che hanno come filo rosso la musica, i ricordi della guerra e una enorme somma di denaro, in una Napoli nera e grottesca. Le vittime sono un giovane giamaicano, un biscazziere clandestino e un nano. Negli omicidi sono in qualche modo coinvolti un direttore d’orchestra, suo figlio, una bella infermiera, un madre superiora e una coppia di ricattatori. La posta in gioco finale è un bel gruzzolo di milioni per avere i quali è però indispensabile entrare in possesso di una preziosa bobina, in cui è registrata la prova di un delitto commesso durante la seconda guerra mondiale. Dopo averne viste d’ogni colore e aver più volte rischiato la pelle, don Rafele verrà finalmente a capo del complicatissimo intrigo e i milioni saranno suoi.
“Giallo napoletano” è il capolavoro di quel filone della commedia grottesca, dai risvolti drammatici, che a cavallo fra gli anni settanta e ottanta rispecchia la crisi politico-sociale in cui l’Italia, e soprattutto il Sud, erano precipitati. Un paese che si porta dietro vecchi retaggi ma soprattutto una Napoli ripresa con luce sinistra, immersa in un’atmosfera di terrore, lontana dallo stereotipo che l’ha resa famosa in tutto il mondo. Addirittura uno degli stereotipi, il mandolino, viene cambiato di segno, da positivo a negativo. Da veicolo di cultura, lo strumento diventa qui motore di una girandola di ricatti e omicidi che si intrecciano fra loro, favorendo in ultimo l’autodistruzione dei delinquenti. Interessante il personaggio di Raffaele Capece, uomo semplice avvilito dalla poliomielite e da un padre arteriosclerotico, che subisce la furia dei prepotenti. Sergio Corbucci conduce bene un gioco di squadra in cui tutti gli attori fanno il loro dovere, dai divi ai generici. Da segnalare Gennarino Palumbo, storico interprete del Teatro di Eduardo, e il simpatico Peppe Barra di napoletana spontaneità.
Il set di Giallo napoletano fu Villa Spera al Vomero, che, con le sue stranezze architettoniche, i suoi perturbanti giochi di luce e la sua atmosfera inquietante, ben si addiceva all’ambientazione di un film lontano dalla classica immagine solare di Napoli.


Stampa, invia via email, segnala nei tuoi social network



Lascia un commento su questa pagina:

Inserisci le due parole che trovi nel box sottostante: