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Il grande cinema a Napoli: “Mi manda Picone”

Il grande cinema a Napoli: “Mi manda Picone”
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Anche il genio di Nanni Loy, passato alla storia per avere inventato le Candid Camera nella trasmissione televisiva “Specchio segreto”, si confronta con Napoli portando il suo cinema tra i vicoli malavitosi della città ma sempre col sorriso e l’ironia che lo caratterizzano. “Mi manda Picone” è un piccolo capolavoro che fotografa la città del sole tra le sue bellezze e le sue bugie.
Nanni Loy ha sempre cercato di alzare i toni per attirare l’attenzione su temi importanti. Ci riesce anche con questo bell’esempio di cinema a Napoli. “Mi manda Picone” è una storia sopra le righe, ironica e a tratti velenosa che restituisce allo spettatore un quadro della città del sole a tinte forti ma pur sempre “italianizzate”. C’è droga, racket e violenza ma anche sotterfugi ed espedienti con donne alla ricerca folle del proprio marito e furbetti alla ricerca folle di sbarcare il lunario.
La trama è un raro esempio di storia surreale che affonda le radici nell’attualità.
Nella sala del consiglio comunale di Napoli, un operaio in tuta dell’Italsider, dichiarandosi minacciato di licenziamento, si dà fuoco. Un’ambulanza se lo porta via ma nessun ospedale né clinica né obitorio riceve il cadavere. La moglie dello scomparso, Luciella Picone (che ha il volto della bravissima Lina Sastri), si affida ad un piccolo debitore del defunto che “tiene un posto” appunto all’obitorio. Il signore in questione, il buon Salvatore (uno strepitoso Giancarlo Giannini) è un uomo che vive di piccoli espedienti, è un genio della sopravvivenza. Girano e rigirano per tutta la città ma il cadavere non c’è.
Salvatore comincia addirittura a dubitare che Picone sia mai esistito quando la direzione del personale dell’Italsider gli comunica che nessuna liquidazione può spettare a Luciella per un dipendente che non risulta sul libro paga. Picone un metalmeccanico di Bagnoli? Un’onesta tuta di copertura per un attivo boss della camorra, di mezza tacca, implicato nei mille rivoli malavitosi e fatto destramente sparire, dopo la sceneggiata al Maschio Angioino. Salvatore prende una grossa agenda dello scomparso e, compulsando nomi e telefoni, comincia a contattare mezza città, dicendo soltanto che “lo manda Picone”. La vita di Giannini prende un’accelerazione mai vista: tangenti di ogni entità relative a rackets di ogni più illecita natura. Salvatore fa presto ad adeguarsi: si fa duro, esige e incassa. Si installa, inoltre, nella bella casa del fantomatico Picone, tallonato dalla bellissima moglie e ben accetto agli affettuosi due figli. Inizia così per lui, sostanzialmente onesto, una discesa verticale nei gironi della malavita e del vizio organizzato, le cui porte incredibilmente cedono al solo pronunciare la magica frase. Una prostituta gli dà, infine, un indirizzo di Marechiaro: un recapito dove a volte si recava il finto meccanico Picone. Salvatore trova una grotta, viene pilotato in gommone nelle fogne e riceve una partita di droga. Per lui c’è un milione che egli però sdegnosamente rifiuta. Riemerge all’aperto e torna alla casa di Luciella giusto in tempo per assistere al decoroso funerale che la donna ha voluto comunque fare, tra lavoratori in tuta affranti. Salvatore scopre che la tuta di Picone è di amianto. L’uomo non bruciò, fu fatto fuggire per essere poi eliminato da gente più importante. La rivelazione fa crollare l’uomo che viene portato via in ambulanza. Questa volta, però, Luciella riesce a farsi imbarcare anche lei. Una ricompensa per un amore che sta per scoppiare? Tutto è possibile, in un quadro di napoletanità in cui il sembrare ha la meglio sull’essere e l’arte di arrangiarsi ha la fa da padrona.
“Mi manda Picone” si aggiudicò ben tre David di Donatello: miglior attore, miglior attrice e migliore produzione.


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