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Il grande cinema a Napoli: “Il Camorrista”

Il grande cinema a Napoli: “Il Camorrista”
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Il cinema deve molto a Napoli se si pensa che l’esordio dietro alla macchina da presa di Giuseppe Tornatore avviene proprio nella città del sole. Con “Il Camorrista” arriva alla ribalta uno dei nomi più interessanti tra i nuovi registi italiani. Il lungometraggio è una forte denuncia di ciò che avviene tra i vicoli della città con lo strapotere del crimine organizzato, simboleggiato dall’arrogante vicenda del boss Raffaele Cutolo qui chiamato Di Vesuviano.
Cinema e Napoli, come è spesso è avvenuto, vanno a braccetto quando si tratta di alzare i toni e denunciare le nefandezze della Camorra. Il primo film di Giuseppe Tornatore, “Il Camorrista”, è una violenta analisi dell’ascesa e della caduta del boss Raffaele Cutolo, qui nominato Professor Di Vesuviano, attraverso uno scenario partenopeo di miseria reale e d’animo.
Il film comincia con un camorrista che fa visita ad alcuni contadini e prende con se il piccolo Di Vesuviano, al quale mette una pistola nei pantaloni. I due vanno ad una festa di paese, dove, nonostante la presenza della polizia, il bambino passa senza problemi. Superati i controlli, l’uomo prende la pistola ed uccide una persona per poi riporre la pistola da dove l’aveva presa. Il bambino poi torna a casa.
Anni dopo, Di Vesuviano (che è interpretato dal bravissimo Ben Gazzara), ormai adulto, in macchina con un amico e la sorella, si ferma per un problema davanti ad un bar. Un ragazzo tocca il sedere a sua sorella e lui, arrabbiato, lo uccide sbattendogli la testa sul cofano dell'automobile. Il “professore”, come verrà chiamato dai compagni di cella, viene arrestato. In prigione l’uomo fa subito amicizia con i carcerati e ritrova un vecchio amico, Alfredo Canale. Decide di diventare capo dei carcerati a causa dell’arroganza di Don Antonio Malacarne, boss del carcere. Fa amicizia anche con un esponente della 'Ndrangheta, la mafia calabrese, ma Di Vesuviano scopre come egli sia, in realtà, un traditore al soldo di Malacarne. Di Vesuviano sfida a duello Malacarne ma nello stesso giorno a Don Antonio viene data la grazia e quindi non si presenta. Di Vesuviano lo fa, comunque, uccidere con la complicità di Alfredo, anch’egli uscito di prigione. Viene ucciso anche il boss calabrese, nel cortile del carcere, in una scena surreale dove tutti i carcerati si voltano per non vedere l’omicidio. Ottiene la piena fedeltà dei carcerati, per i quali il professore non è che un capo da seguire. Intanto c’è una rivolta in carcere, che la polizia e il direttore non riescono a sedare. Questi chiedono l’aiuto di Di Vesuviano, che accetta e seda la rivolta, ottenendo in cambio una notte in libertà, durante la quale egli va a trovare la sorella e gli amici. Da lì riesce ad organizzare i commercianti ed i criminali della città sotto un unico tetto, la “Nuova Camorra Riformata” (corrispondente alla reale Nuova Camorra Organizzata).
Ottenuta l’infermità mentale, si trasferisce nel manicomio criminale di Aversa, dal quale però evade. La sua evasione dura moltissimo tempo, durante il quale gestisce al meglio la sua organizzazione ottenendo persino contatti con la mafia d’oltreoceano, che diventerà grande alleata. Quando tutto sembra andare per il meglio, comincia la caduta: alcuni clan, non d’accordo con la politica della Nuova Camorra Riformata, si ribellano, inoltre un commissario è sulle tracce di Di Vesuviano. Una sera, durante la quale il professore s’intrattiene a cena con alcuni politici, alcuni scissionisti decidono di uccidere Di Vesuviano. Tuttavia, Alfredo, amico del camorrista, se ne accorge e decide di fermare l’attacco, ma, arrestato dalla polizia, decide di far arrestare il boss per non causarne la morte. Tuttavia, questa decisione gli sarà fatale: verrà ucciso da alcuni alleati del professore in carcere. Durante il processo che vede Di Vesuviano protagonista, questi, con molta superbia, non fa che prendere in giro la giuria e il giudice, arriva addirittura a paragonarsi a Gesù.
Di Vesuviano intanto continua le sue attività dal carcere: pubblica un libro di poesia, fa uccidere tutti i suoi nemici in carcere durante il terremoto dell’80 e si sposa, inoltre ottiene l’alleanza delle Brigate Rosse, che, su suo ordine, rapiscono l’assessore Mimmo Mesillo (nella realtà Ciro Cirillo), che però riuscirà a salvarsi. Tuttavia a causa di alcuni pentiti la situazione del professore peggiora velocemente, e viene trasferito in un carcere di massima sicurezza in Sardegna, dove impazzisce.
Il film frutta un David di Donatello a Leo Gullotta, nei panni del Commissario Iervolino. Purtroppo, negli anni, si è perso il significato di denuncia di questa opera ed ora è un film culto per i giovani napoletani che vedono Di Vesuviano come un mito.


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